Il campo
della psicoterapia infantile è vasto, complesso e articolato. Oggi, infatti, le
tecniche di intervento sono sempre più numerose e differenti i fondamenti
teorici su cui si basano. Difficile pensare di poterle descrivere tutte. Gli
elementi in gioco sono molti e, nel caso di un intervento con il bambino
dobbiamo considerare almeno tre relazioni da gestire: quella con il bambino,
appunto; quella con i genitori; quella con gli altri significativi nel suo
contesto di vita.
Inoltre, in età evolutiva, c’è da tener
presente che numerosi sono «i
comportamenti apparentemente patologici che in realtà costituiscono delle
preforme di una organizzazione mentale: se così non fosse, quasi tutti i
bambini dovrebbero essere considerati come “malati” e giustificare un trattamento».
Il bambino in terapia è colui che porta
un disagio, vero o presunto e non possiamo pensarlo come soggetto capace di
essere consapevole di un disturbo psichico in quanto tale. Amare l’infanzia,
mettere al centro del lavoro terapeutico il bambino, utilizzare tecniche non
finalizzate al sintomo o alla conferma o meno di una ipotesi di lavoro, questi sono solo alcuni dei presupposti umani e
tecnici che dovrebbero farci da guida nella psicoterapia infantile.
In primo
luogo, seguiamo le considerazioni di
Palacio Espasa (1995) in merito al fatto che oggi, in campo psicoanalitico, si
fatichi a trovare una linea comune e che ci sia una crisi dei modelli di fronte
ad esigenze di risposta che investono campi sempre più vasti e differenziati.
C’è una crisi di crescita legata all’impossibilità
di individuare la priorità, la maggiore efficacia di una tecnica rispetto
all’altra e l’impatto dei singoli fattori specifici.
Tutto questo in relazione
alle diverse età del bambino, alla natura del suo funzionamento mentale e alla sua
patologia.
Oggi, in sostanza, assistiamo
a due fenomeni:
- una disaffezione da parte
degli analisti verso il lavoro terapeutico con i bambini;
- il diffondersi delle
cosiddette “epidemie”, in particolare nell’ambiente americano: autismo, ADHD,
sindrome bipolare, definite, appunto, come le “epidemie” che nell’ultimo
decennio hanno interessato il mondo dell’infanzia. Le considerazioni del caso
sono facilmente estendibili al panorama italiano.
La seconda riflessione riguarda più specificatamente gli aspetti
metodologici in riferimento agli esiti delle psicoterapie in età evolutiva.
In primis, le considerazioni
di Ammaniti ed Ortu sugli studi di Levitt e di Casey e Berman (1985), i
risultati dei quali ci mettono in guardia dallo stabilire una affrettata
equivalenza fra la validità clinica di una terapia e la sua efficacia valutata
sulla base di sperimentazioni controllate. Gli stessi autori, sempre all’interno
di ricerche volte alla dimostrazione dell’efficacia dei trattamenti
psicoterapeutici nei bambini, avanzano il “paradosso dell’equivalenza” rispetto
al quale «tutte le terapie,
indipendentemente dai presupposti teorici e dalla tecnica utilizzata, dimostrano
la stessa efficacia terapeutica».
Allora, a fronte di un interesse abnorme per i bambini e le loro
problematiche, di cosa ci si occupa effettivamente in psicoterapia infantile?
Alla luce
della complessità dell’analisi, sposteremo la nostra attenzione su un elemento
che ci sembra possa rappresentare un momento di confronto, più che di scontro
fra le varie scuole: la metafora, perfettamente
consapevoli del fatto che questo sia solo uno dei possibili modi di interagire
con la patologia, quindi non l’unico e sicuramente criticabile.
La fiaba è
e può rappresentare, in tal senso, un potente strumento terapeutico. Il
linguaggio del metaforico è un linguaggio simbolico: le fiabe, per questo
motivo attirano l’attenzione del bambino e favoriscono in lui l’attivazione di
processi di immedesimazione che, nel momento in cui ne sanificano i conflitti
interiori aiutano a trovare soluzioni mentre calmano l’angoscia. Non
dimentichiamo che la psicoanalisi nasce e poggia il suo intervento terapeutico
sulla dimensione simbolico-verbale.
Molte, le
funzioni psicologiche e psicoterapeutiche cui la fiaba assolve, tra cui
l’appagamento di desideri nascosti, piuttosto che la possibilità di esorcizzare
elementi negativi del reale. In ogni caso, rappresenta per il bambino una via
privilegiata per entrare in contatto con le proprie funzioni psicologiche. Come
afferma Bettelheim (1977) l’uso della fiaba è un “possibile strumento che, attraverso il simbolo, fa chiarezza nel
caotico mondo intrapsichico infantile”. La fiaba parla nel linguaggio
simbolico e in questo linguaggio esprime fenomeni psicologici interiori. «Le fiabe indirizzano il bambino verso la
scoperta della sua identità e suggeriscono le esperienze necessarie per
sviluppare il suo carattere. I personaggi e gli eventi delle fiabe
personificano conflitti interiori e suggeriscono in maniera sottile come
possono essere risolti».
Elemento di sviluppo della creatività,
la fiaba diventa nel contempo strumento di comprensione del proprio mondo
interiore e relazionale. Le storie parlano al bambino incoraggiando lo sviluppo
del suo Io semplificando le situazioni, facendo cogliere gli elementi
essenziali del problema.
Fonti:
- D.
MARCELLI, Psicopatologia del bambino
- F. PALACIO ESPASA,
Psicoterapia
con i bambini
- P. FONAGY, M.
TARGET, D. COTRELL, J. PHILLIPS, Z. KURTZ, Psicoterapia per il bambino e l'adolescente
- B. BETTELHEIM, Il mondo incantato. Uso,
importanza e significati psicoanalitici delle fiabe