«Non è la vita a fornire i modelli ma le storie. È difficile costruire
storie alle quali adeguare le vite. Possiamo soltanto rinarrare e vivere
secondo le storie che abbiamo letto o sentito. Viviamo la nostra vita attraverso
i testi» ( Heilbrun, 1998)
In letteratura, troviamo importanti
descrizioni di strategie per la creazione di metafore e storie, comprensive
anche di tecniche volte a far nascere la storia dalla stessa immaginazione del
bambino, oppure modificarla o rinarrarla, come nella tecnica di narrazione reciproca di Gardner, giusto per citarne una.
L’autore parte proprio dal piacere
che i bambini provano sia nel raccontare, che nell’ascoltare storie. Il suo
metodo consiste nel cominciare usando un’introduzione prestabilita quindi,
dando una serie di istruzioni sulla storia che va creata. Essa deve avere
alcune caratteristiche quali, l’essere avventurosa, eccitante, non deve
riguardare cose viste in tv o in un film, né tantomeno esperienze reali del
bambino. Ma, ancora, la storia deve avere un inizio, una parte centrale, una
fine e, soprattutto, deve avere una morale. Quando il bambino ha creato una
storia, il terapeuta la analizzerà a fondo per andare a cercarne il significato
psicodinamico. Fatto questo, utilizzando gli stessi personaggi e la stessa
ambientazione scelti dal bambino, crea un’altra storia introducendo, però,
degli adattamenti più salutari rispetto a quelli presentati dal bambino.
Le ricerche riguardo l’uso terapeutico della metafora della
narrazione di storie, sia con i bambini, che con gli adulti, sono proliferate
nell’ultimo decennio e, tante e varie, sono le applicazioni che in psicoterapia
hanno fatto ricorso alla metafora come modalità di trattamento, vuoi
principale, vuoi ausiliario.
Come è
possibile dunque creare quella realtà fenomenologica condivisa (Rossi, 1972)
attraverso la quale la metafora terapeutica perviene al suo scopo? In una
analisi comparata delle fiabe classiche è possibile constatare che al loro
interno esistono moltissimi elementi o ingredienti narrativi.
In
particolare:
√ il protagonista vive un conflitto metaforico;
… se pensiamo alla fiaba del Brutto anatroccolo di Andersen (1954),
stiamo parlando del momento in cui l’anatroccolo nasce con il suo aspetto
buffo, diverso dai fratelli e da tutti gli altri volatili dell’aria.
√ I
processi inconsci vengono
personificati in forma di eroi o soccorritori (le capacità e risorse del
protagonista) ma, anche di ostacoli o furfanti (paure e convinzioni negative) e
vengono personificate situazioni di
apprendimento parallele in cui il protagonista ha avuto successo;
… è la
madre dell’anatroccolo, l’unica a vedere suoi lati buoni e a riconoscergli la
possibilità di migliorare enunciando i suoi processi inconsci sotto forma di
capacità e risorse (l’indole buona, il saper nuotare benissimo).
√ Si
manifesta una crisi metaforica
all’interno di un contesto di ineluttabile soluzione, conseguentemente alla
quale il protagonista supera o risolve il proprio problema;
…
l’anatroccolo se ne va, dal momento in cui i maltrattamenti nei suoi confronti
non fanno che peggiorare. Vola verso la palude sperando di trovare accoglienza
da parte delle anatre selvatiche. In realtà, non trova questo e la crisi
metaforica si manifesta nel momento in cui la palude viene improvvisamente
circondata dai cacciatori e dai loro cani. Il brutto anatroccolo è l’unico che
sopravvive all’uccisione di tutti gli animali e si ritrova solo nell’inverno
desolato e freddo.
√ Il
protagonista quindi acquisisce un nuovo senso di identificazione proprio per effetto di questo vittorioso viaggio
dell’eroe;
… passato l’inverno si specchia nell’acqua,
dove scorge la sua nuova bellissima immagine. L’avere patito tante miserie e
avversità gli permette di poter apprezzare l’essere felice. «Era troppo felice ma non superbo, perché un
cuore buono non diventa mai superbo».
√ Alla
fine assistiamo alla celebrazione in
cui avviene il riconoscimento del valore straordinario del protagonista;
… nel
momento in cui i vecchi cigni si inchinano davanti a lui.
Le
fiabe, dunque, sono una forma d’arte peculiare, non solo divertono, ma
consentono al bambino di promuovere lo sviluppo della sua personalità,
arricchendo la sua vita. È Bettelheim, colui il quale ci fa riflettere
sul fatto che il bambino possa imparare dalla fiaba cose riguardanti problemi
interiori dell’essere umano ma, non solo, anche le soluzioni che più si
addicono a risolvere eventuali difficoltà, in un modo che non sminuisce
l’importanza e la gravità del disagio derivate dalla lotta interna che il
crescere porta con sé.
Fonti:
M. WHITE, La terapia come narrazione. Proposte cliniche. Roma, Astrolabio, 1992
J.C. MILLS, R.J. CROWLEY, Metafore terapeutiche per i bambini.
Roma, Astrolabio, 1988
B. BETTELHEIM in P. BARKER, L’uso della metafora in psicoterapia, Roma, Astrolabio, 1987
B. BETTELHEIM in P. BARKER, L’uso della metafora in psicoterapia, Roma, Astrolabio, 1987