giovedì 14 settembre 2017

fotofiabando ...



«Non è la vita a fornire i modelli ma le storie. È difficile costruire storie alle quali adeguare le vite. Possiamo soltanto rinarrare e vivere secondo le storie che abbiamo letto o sentito. Viviamo la nostra vita attraverso i testi» (Heilbrun)


“The ugly ducling” è un progetto che ha a che fare con le fiabe e il loro uso in psicologia, soprattutto con i bambini. Mi piacerebbe unire la passione per la fotografia con quella per gli aspetti narrativi, quelli che portano le persone a raccontarsi, in particolare durante i colloqui. Consapevole che esistano filoni collaudati su questo (nel sistemico-relazionale si fa molto uso del genogramma, anche fotografico) qui, in particolare, ho cercato di sondare un aspetto più creativo e fantasioso  della fotografia … 










Perché la fiaba?

Perchè il linguaggio della fiaba è, in qualche modo, un linguaggio che appartiene a tutta l’umanità, a tutte le età, a tutte le razze e civiltà. 
Fiabe e racconti sono narrazioni che parlano, a chi ascolta o a chi legge, della condizione umana: di quello che siamo, di quello che viviamo e in che modo; dei nostri sentimenti e della vita, per riscattarci da un destino che sembra segnato in partenza.
Le fiabe attivano processi di immedesimazione grazie ai quali possiamo superare i conflitti interiori e trovare soluzioni. In ogni caso, esse rappresentano per il bambino una via privilegiata per entrare in contatto con le proprie funzioni psicologiche.

«La fiaba è il luogo di tutte le ipotesi; essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare il bambino a conoscere il mondo» (Rodari)

Perché “Il brutto anatroccolo” di Andersen?

Perché al suo interno ritroviamo gli elementi essenziali propri della fiaba:
… il problema
L’anatroccolo nasce con il suo aspetto buffo, diverso dai fratelli e da tutti gli altri volatili dell’aria … per questo motivo viene deriso e rifiutato
… la crisi
L’anatroccolo se ne va, dal momento in cui i maltrattamenti nei suoi confronti non fanno che peggiorare … la sua strada è irta di difficoltà e implica importanti cambiamenti
… la soluzione
L’anatroccolo, passato l’inverno, si specchia nell’acqua, dove scorge la sua nuova bellissima immagine … l’avere patito tante miserie e avversità gli permette di poter apprezzare l’essere felice


«Il ghiaccio dev’essere rotto e l’anima tolta dal gelo … Fate come l’anatroccolo. Andate avanti, datevi da fare» (C. Pinkola Estés)

martedì 20 giugno 2017

"TRIP THE DARKNESS"



«Non è la vita a fornire i modelli ma le storie. È difficile costruire storie alle quali adeguare le vite. Possiamo soltanto rinarrare e vivere secondo le storie che abbiamo letto o sentito. Viviamo la nostra vita attraverso i testi» (Heilbrun, 1998)

In letteratura, troviamo importanti descrizioni di strategie per la creazione di metafore e storie, comprensive anche di tecniche volte a far nascere la storia dalla stessa immaginazione del bambino, oppure modificarla o rinarrarla, come nella tecnica di narrazione reciproca di Gardner, giusto per citarne una.
L’autore parte proprio dal piacere che i bambini provano sia nel raccontare, che nell’ascoltare storie. Il suo metodo consiste nel cominciare usando un’introduzione prestabilita quindi, dando una serie di istruzioni sulla storia che va creata. Essa deve avere alcune caratteristiche quali, l’essere avventurosa, eccitante, non deve riguardare cose viste in tv o in un film, né tantomeno esperienze reali del bambino. Ma, ancora, la storia deve avere un inizio, una parte centrale, una fine e, soprattutto, deve avere una morale. Quando il bambino ha creato una storia, il terapeuta la analizzerà a fondo per andare a cercarne il significato psicodinamico. Fatto questo, utilizzando gli stessi personaggi e la stessa ambientazione scelti dal bambino, crea un’altra storia introducendo, però, degli adattamenti più salutari rispetto a quelli presentati dal bambino.

Le ricerche riguardo l’uso terapeutico della metafora della narrazione di storie, sia con i bambini, che con gli adulti, sono proliferate nell’ultimo decennio e, tante e varie, sono le applicazioni che in psicoterapia hanno fatto ricorso alla metafora come modalità di trattamento, vuoi principale, vuoi ausiliario.

Come è possibile dunque creare quella realtà fenomenologica condivisa (Rossi, 1972) attraverso la quale la metafora terapeutica perviene al suo scopo? In una analisi comparata delle fiabe classiche è possibile constatare che al loro interno esistono moltissimi elementi o ingredienti narrativi.
In particolare:
  il protagonista vive un conflitto metaforico;
 … se pensiamo alla fiaba del Brutto anatroccolo di Andersen (1954), stiamo parlando del momento in cui l’anatroccolo nasce con il suo aspetto buffo, diverso dai fratelli e da tutti gli altri volatili dell’aria.
I processi inconsci vengono personificati in forma di eroi o soccorritori (le capacità e risorse del protagonista) ma, anche di ostacoli o furfanti (paure e convinzioni negative) e vengono personificate situazioni di apprendimento parallele in cui il protagonista ha avuto successo;
… è la madre dell’anatroccolo, l’unica a vedere suoi lati buoni e a riconoscergli la possibilità di migliorare enunciando i suoi processi inconsci sotto forma di capacità e risorse (l’indole buona, il saper nuotare benissimo).
Si manifesta una crisi metaforica all’interno di un contesto di ineluttabile soluzione, conseguentemente alla quale il protagonista supera o risolve il proprio problema;
… l’anatroccolo se ne va, dal momento in cui i maltrattamenti nei suoi confronti non fanno che peggiorare. Vola verso la palude sperando di trovare accoglienza da parte delle anatre selvatiche. In realtà, non trova questo e la crisi metaforica si manifesta nel momento in cui la palude viene improvvisamente circondata dai cacciatori e dai loro cani. Il brutto anatroccolo è l’unico che sopravvive all’uccisione di tutti gli animali e si ritrova solo nell’inverno desolato e freddo.
Il protagonista quindi acquisisce un nuovo senso di identificazione proprio per effetto di questo vittorioso viaggio dell’eroe;
 … passato l’inverno si specchia nell’acqua, dove scorge la sua nuova bellissima immagine. L’avere patito tante miserie e avversità gli permette di poter apprezzare l’essere felice. «Era troppo felice ma non superbo, perché un cuore buono non diventa mai superbo».
Alla fine assistiamo alla celebrazione in cui avviene il riconoscimento del valore straordinario del protagonista;
… nel momento in cui i vecchi cigni si inchinano davanti a lui.

Le fiabe, dunque, sono una forma d’arte peculiare, non solo divertono, ma consentono al bambino di promuovere lo sviluppo della sua personalità, arricchendo la sua vita. È Bettelheim, colui il quale ci fa riflettere sul fatto che il bambino possa imparare dalla fiaba cose riguardanti problemi interiori dell’essere umano ma, non solo, anche le soluzioni che più si addicono a risolvere eventuali difficoltà, in un modo che non sminuisce l’importanza e la gravità del disagio derivate dalla lotta interna che il crescere porta con sé.






Fonti:
M. WHITELa terapia come narrazione. Proposte cliniche. Roma, Astrolabio, 1992
J.C. MILLS, R.J. CROWLEY, Metafore terapeutiche per i bambini. Roma, Astrolabio, 1988
B. BETTELHEIM in P. BARKER, L’uso della metafora in psicoterapia, Roma, Astrolabio, 1987

giovedì 11 agosto 2016

HARRY POTTER: O SI AMA O SI ODIA ... IO L'ADORO.

Sì, l’ho letto … anche l’ultimo. Perché Harry Potter va letto, prima ancora di essere visto. “L’universo narrativo crea una identità e l’identità aiuta le persone a dare un senso a quello che fanno” (Fontana, 2014)
La trasposizione cinematografica vuoi per esigenze di copione o scenografiche o altro, finisce con l’omettere, addirittura distorcere importanti particolari e accadimenti. Spesso questo è andato anche a svantaggio dell’immagine di alcuni personaggi, uno fra tutti Cho Chang, quella del primo bacio, per capirci. Il film la fa passare per spia e traditrice quando invece non fu lei a rivelare l’esistenza dell’Esercito di Silente alla Umbridge!
Insomma, gli intrecci sono moltissimi, le chiavi di lettura di più. Non voglio spoilerare, voglio solo dire la mia su un libro che spesso si fatica a comprendere come possa piacere ed essere letto da così tante persone, adulti compresi.
Trovo la saga di Harry Potter a suo modo quasi un trattato di psicopedagogia e, in quanto tale, importante momento di riflessione su aspetti non solo narrativi. Come nella fiaba, anche nel fantasy, il lettore trova una modalità che gli consente di aprirsi al mondo interiore, dal momento in cui essa parla il linguaggio delle sue emozioni più profonde. Il fantastico supera il reale, si oltrepassa ogni limite umano e razionale. Le paure e le fragilità vengono raccontate e, nel contempo, viene data la possibilità di arrivare a una soluzione per ritrovare serenità.
I temi importanti tornano anche in quest’ultimo libro: la morte, l’amicizia, l’impegno, l’amore.
Ritroviamo Voldemort, il cattivo, colui che rappresenta il male. Sappiamo che è un orfano, proprio come Harry, un ragazzino segnato dalla diversità e dalla solitudine. La sua ricerca dell’immortalità è metafora dell’uomo moderno che si pone al centro dell’universo, di colui che può tutto e che in realtà teme la fine perché dopo la morte vi è solo il nulla. E Voldemort, a dispetto di tutto, della morte ha paura. Ormai sconfitto, non cessa però di manifestarsi.
Incontriamo nuovamente il professor Severus Piton, quello di Difesa contro le Arti Oscure. Un uomo innamorato in realtà, in lotta contro il male, sacrificatosi per la causa con la stessa vita. Egli testimonia con la sua esistenza che spesso ciò che vediamo non è quello che è e che le persone nascondono vissuti importanti e dolorosi meritevoli di essere ascoltati e conosciuti. Anche Severus è stato un adolescente emarginato, disagiato, vittima di bullismo dallo stesso padre di Harry. Ma, in realtà, è un uomo capace di sentimenti profondi e sinceri, fino al sacrificio di se stesso.
E c’è anche Silente, il maestro, il saggio. In realtà un uomo dal vissuto controverso, spesso fra luci e ombre, non perfetto. Cogliamo in lui momenti di forte autocritica per il suo ruolo nella vita di Harry.
... giusto per citarne alcuni.
Dunque, anche in “Harry Potter e la maledizione dell’erede” troviamo il fato, la profezia, la possibilità di scegliere e poter decidere del proprio destino. È, al momento, l’ultimo della serie, un testo teatrale per il modo in cui è scritto... gli spunti di riflessione, però, non sono meno interessanti. In una serie di intrecci la storia ripercorre i fatti salienti della saga, gli aspetti cruciali degli accadimenti quasi a ricordo e a promemoria di quanto è successo.
Harry è ormai padre, così lo avevamo lasciato alla stazione ... con Albus figlio suo e di Ginny. Ed è proprio il conflitto generazionale il primo aspetto che emerge. Padre e figlio cercano un modo per entrare in relazione ma non riescono a comunicare. Si trattano male, si dicono cose pesanti, si feriscono. Harry fatica a entrare in questo ruolo e fa cose in nome del buon senso che invece di sanare il divario, lo alimentano. In Albus, sembra a tratti di rivivere l’adolescenza di Harry, alla ricerca di amicizie, di punti di riferimento, nonché alla realizzazione di se stesso. Ma, in fondo, non è ciò che ciascuno fa a quell’età? Il ragazzo, solo alla fine riconoscerà nel padre quella guida e quel punto di riferimento che tale figura può e potrà essere per lui. Albus vive il conflitto con un uomo dal vissuto così ingombrante ... “il figlio di” ... essere all’altezza del quale è impresa quasi titanica. Harry è famoso, è un eroe, un uomo del quale si fa fatica ad essere figli. Ma è, in realtà, un uomo che si mette in discussione per tutta la storia, anche sul suo stesso ruolo di padre e sulle sue aspettative. Quanta attualità in questo!
Albus ha un migliore amico, Scorpius. Entrambi condividono la stessa casa, quella di Serpeverde. Perché sì, il figlio di Harry, non farà parte di Grifondoro e anche questo avrà un suo peso. C’è, dunque, anche qui una bella storia di amicizia. Albus e Scorpius sono due adolescenti con voglia di rivalsa da un familiare pesante ... Scorpius, dal canto suo, è figlio di Malfoy e strani pettegolezzi girano sul suo conto. Nulla li smuove, sono giovani e agiscono come tali, anche in modo sconsiderato mettendo a rischio la loro vita e quella degli altri. Sembrano non rendersi conto della gravità delle loro azioni. Ma il trio Potter, Granger e Weasley a questo ci ha abituato da tempo!
In ottica sistemica sembra possibile una lettura su tre ambiti generazionali perché compariranno anche i nonni di Albus ad un certo punto ... sembra dunque il suo un percorso di appartenenza e differenziazione.
Le donne, poi, sono tante, dalla professoressa Minerva McGranitt a Dolores Umbridge. Quindi, Hermione e Ginny, ormai mogli e madri. Donna in carriera la prima. Sposata con Ron, il migliore amico di Harry che in una visione attualissima della vita ha un lavoro meno prestigioso della moglie. Spesso sono loro a rappresentare elementi di svolta degli accadimenti, grazie alla pacatezza, al coraggio, alla determinazione che le contraddistinguono. Sempre una figura femminile sarà elemento centrale della storia … ma qui si rasenta lo spoiler!
E, poi, altrettanto importante, la questione del tempo. I personaggi viaggiano molto, nel passato e nel futuro. È un tempo che si intreccia in un alternarsi quasi vorticoso fra passato, presente e futuro. Un ritorno a momenti chiave e cruciali della storia. Un passare del tempo che ci mette di fronte alle nostre fragilità e ci mostra impotenti in quanto esseri mortali. Forse è un monito ad imparare ad accettare le cose, forse è un modo per farci riflettere sul fatto che è sbagliato pensare di poter cambiare il destino e forzare gli avvenimenti.
È dunque l’elemento metaforico e simbolico di questo tipo di narrazione quello che ci consente di confrontarci con contenuti che non sono a noi estranei, dal momento in cui è come se li ritrovassimo scritti da tempo immemorabile nella nostra anima. Ma, non solo, è sempre tale elemento che ci consente di entrare in contatto con la profondità del nostro essere e della nostra esistenza in completa sicurezza, senza incorrere in rischio alcuno: non siamo noi a compiere le azioni, ma i personaggi della storia i quali, però, nel loro agire riflettono il nostro Io interiore e, nel far questo, ci consentono di vedere le situazioni che stiamo affrontando secondo differenti sfaccettature e angolazioni. Questo è l’aspetto che può rendere anche terapeutico un certo tipo di letture (la fiaba per i bambini, in primis) ovvero, il fatto che essa ci consenta di uscire dal guscio interiore dandoci però la sensazione di non esserci esposti veramente.
Un grazie ad Alice, ex alunna, che nel lontano 1997 mi ha prestato il primo libro della serie in tempi in cui ero molto diffidente e pensavo ad Harry Potter come ad uno dei tanti fenomeni del momento ... che dire ancora, buona lettura a tutti!

giovedì 17 settembre 2015

ORIENTAMENTO E NARRAZIONE


 “L’universo narrativo crea una identità e l’identità aiuta le persone a dare un senso a quello che fanno” (Fontana, 2014)


Uno dei compiti più complessi degli adulti, in quanto genitori o insegnanti, è quello di accompagnare e aiutare i ragazzi di cui si occupano nel difficile PROCESSO di ATTRIBUZIONE di SIGNIFICATO all’ESISTENZA ovvero, apprendere a conoscersi meglio, acquisendo così anche la capacità di capire gli altri e orientarsi nel mondo, relazionandosi in modo sempre più efficace con situazioni e persone.
Le Indicazioni Nazionali per il Curricolo entrate in vigore con il D. M. n. 254 del 16 novembre 2012, definiscono chiaramente che, obiettivo della scuola sia “formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri”. Ogni singolo alunno è posto al centro di ciascuna proposta didattica laddove le discipline di studio diventano mezzi per la crescita della persona, fine ultimo di ogni azione educativa e didattica. Il sistema scolastico assume come orizzonte di riferimento il quadro delle competenze chiave per l’apprendimento permanente (definite dal Parlamento Europeo e dal Consiglio dell’Unione Europea – Raccomandazione del 2006) secondo le quali, ogni alunno dovrebbe, sviluppare CONOSCENZE, ABILITA’, ma anche COMPETENZE e, quindi, capacità di utilizzare conoscenze, abilità e, in genere, tutto il proprio sapere, in situazioni reali di vita e lavoro.
Se ORIENTAMENTO, allora, è ATTIVITA’ FORMATIVA che sviluppa competenze,
     ORIENTARSI significherà:
                                   * imparare a PROGETTARE
                                                * imparare ad AUTOVALUTARSI                      
                                                           * imparare a FARE SCELTE CONSAPEVOLI
Non è banale riflettere ancora una volta sulla difficoltà che una società come la nostra ha nel dare riferimenti certi, ”riti” che definiscano chiaramente passaggi. Difficile dare un senso a ciò che accade e all’imprevedibilità dell’accadere rispondendo alla domanda di “accompagnare gli alunni ad elaborare il senso della propria esperienza”. Genitori, docenti, esperti, siamo tutti chiamati in causa.

Ma, QUALI METODI e QUALI PRASSI possono portarci verso obiettivi così ambiziosi?

L’APPROCCIO NARRATIVO: PERCHE’?
L’uso della narrazione ha molteplici funzioni tra le quali fornire una struttura alla realtà medesima.
La narrazione è, infatti, un processo cognitivo che consente di promuovere la consapevolezza e l’autoregolazione emotiva.
La narrazione è strumento essenziale per lo sviluppo emozionale (Harris, 91).
Tramite la narrazione possiamo rappresentarci credenze, pensieri e desideri che sono alla base di specifiche “emozioni”, dando luogo a script complessi ma coerenti, dove eventi, azioni e stati mentali si combinano dando luogo a specifiche esperienze emozionali.
Tanto la comprensione che la produzione di storie richiedono abilità cognitive e sociali, in particolare, capacità di empatia e disponibilità all’identificazione.

L’APPROCCIO NARRATIVO: QUALI FUNZIONI?
Ecco che, allora, utilizzare la narrazione può voler dire:
COMUNICARE in un modo comprensibile al ragazzo.
I personaggi sono presentati attraverso immagini chiare e generalmente sono in maniera esclusiva o buoni, o cattivi caratteristiche che permettono l’identificazione con essi.
2. rendere possibile che esperienze che altri vivono nel superamento di difficoltà e che sono simili a quelle che stanno vivendo in quel momento suggeriscano in modo diretto o indiretto, ALTERNATIVE o possibilità di affrontare la sua situazione, fornendo stimoli, incoraggiamenti e forza necessaria.
3. trovare una CHIAVE, una modalità che consente di aprirsi al mondo interiore, dal momento in cui essa parla il linguaggio delle sue emozioni più profonde.
5. entrare in CONTATTO con la profondità del nostro essere e della nostra esistenza in completa sicurezza, senza incorrere in rischio alcuno: non siamo noi a compiere le azioni, ma i personaggi della storia i quali, però, nel loro agire ci consentono di vedere le situazioni che stiamo affrontando secondo differenti sfaccettature e angolazioni: possiamo uscire dal guscio interiore dandoci però la sensazione di non esserci esposti veramente.

Se narrare è assumere una prospettiva metaforica, fare questo vuol dire, in sostanza, svincolarsi dalla rigidità di proposte poiché, in quanto adulti, dovremmo essere maggiormente consapevoli della creatività di cui abbiamo bisogno per aiutare il bambino o il ragazzino e preoccuparci di quale posto occupi il gioco nella nostra relazione con lui, quando lo abbiamo di fronte. Il processo culturale, come dice Winnicott, prende l’avvio proprio nell’area potenziale dove si struttura il gioco.


Fonti: 

giovedì 3 settembre 2015

... DELLA METAFORA IN TERAPIA ...

Che cosa deve fare, allora, una metafora per potere avere efficacia in psicoterapia infantile? Rossi (1972) dirà che la funzione importante della metafora in terapia è probabilmente la sua capacità di dar vita a una realtà fenomenologica condivisa per cui il bambino sperimenta il mondo che il terapeuta crea con la metafora. È questo, quel processo che consente al bambino, al terapeuta, alla storia di entrare in empatia. Il bambino potrà identificarsi con i personaggi e con gli eventi che verranno descritti: qui troviamo la forza di trasformazione della metafora (Gordon, 1978). In questo modo, infatti, il bambino non si sente isolato, riesce a creare un ponte fra la propria vita reale e gli eventi della narrazione. In un processo all’interno del quale si percepisce un senso di esperienza condivisa, il bambino può, nello stesso momento, guardare il problema e rimanerne distante, attivare risorse e capacità, ma non sentirsi minacciato. Il bambino passa dal dire “Nessuno ha il mio problema” al “Loro avevano un problema come il mio”. Tale connessione, però resta inconscia. Infatti, qui sta la finezza della metafora terapeutica: «che la storia coglie nel segno, ma lo fa curiosamente di lontano; ossia punta al problema, ma se ne tiene tacitamente alla larga; attiva capacità e risorse specifiche, ma lo fa in forma generica, non minacciosa»

Fonti:
J.C. MILLS, R.J. e CROWLEY, Metafore terapeutiche per i bambini

venerdì 28 agosto 2015

BAMBINI, FIABA E PSICOTERAPIA



Il campo della psicoterapia infantile è vasto, complesso e articolato. Oggi, infatti, le tecniche di intervento sono sempre più numerose e differenti i fondamenti teorici su cui si basano. Difficile pensare di poterle descrivere tutte. Gli elementi in gioco sono molti e, nel caso di un intervento con il bambino dobbiamo considerare almeno tre relazioni da gestire: quella con il bambino, appunto; quella con i genitori; quella con gli altri significativi nel suo contesto di vita.
Inoltre, in età evolutiva, c’è da tener presente che numerosi sono «i comportamenti apparentemente patologici che in realtà costituiscono delle preforme di una organizzazione mentale: se così non fosse, quasi tutti i bambini dovrebbero essere considerati come “malati” e giustificare un trattamento».
Il bambino in terapia è colui che porta un disagio, vero o presunto e non possiamo pensarlo come soggetto capace di essere consapevole di un disturbo psichico in quanto tale. Amare l’infanzia, mettere al centro del lavoro terapeutico il bambino, utilizzare tecniche non finalizzate al sintomo o alla conferma o meno di una ipotesi di lavoro, questi sono solo alcuni dei presupposti umani e tecnici che dovrebbero farci da guida nella psicoterapia infantile.
In primo luogo, seguiamo le considerazioni di Palacio Espasa (1995) in merito al fatto che oggi, in campo psicoanalitico, si fatichi a trovare una linea comune e che ci sia una crisi dei modelli di fronte ad esigenze di risposta che investono campi sempre più vasti e differenziati. C’è una crisi di crescita legata all’impossibilità di individuare la priorità, la maggiore efficacia di una tecnica rispetto all’altra e l’impatto dei singoli fattori specifici.
Tutto questo in relazione alle diverse età del bambino, alla natura del suo funzionamento mentale e alla sua patologia.
Oggi, in sostanza, assistiamo a due fenomeni:
- una disaffezione da parte degli analisti verso il lavoro terapeutico con i bambini;
- il diffondersi delle cosiddette “epidemie”, in particolare nell’ambiente americano: autismo, ADHD, sindrome bipolare, definite, appunto, come le “epidemie” che nell’ultimo decennio hanno interessato il mondo dell’infanzia. Le considerazioni del caso sono facilmente estendibili al panorama italiano.
La seconda riflessione riguarda più specificatamente gli aspetti metodologici in riferimento agli esiti delle psicoterapie in età evolutiva.
In primis, le considerazioni di Ammaniti ed Ortu sugli studi di Levitt e di Casey e Berman (1985), i risultati dei quali ci mettono in guardia dallo stabilire una affrettata equivalenza fra la validità clinica di una terapia e la sua efficacia valutata sulla base di sperimentazioni controllate. Gli stessi autori, sempre all’interno di ricerche volte alla dimostrazione dell’efficacia dei trattamenti psicoterapeutici nei bambini, avanzano il “paradosso dell’equivalenza” rispetto al quale «tutte le terapie, indipendentemente dai presupposti teorici e dalla tecnica utilizzata, dimostrano la stessa efficacia terapeutica».
Allora, a fronte di un interesse abnorme per i bambini e le loro problematiche, di cosa ci si occupa effettivamente in psicoterapia infantile?
Alla luce della complessità dell’analisi, sposteremo la nostra attenzione su un elemento che ci sembra possa rappresentare un momento di confronto, più che di scontro fra le varie scuole: la metafora, perfettamente consapevoli del fatto che questo sia solo uno dei possibili modi di interagire con la patologia, quindi non l’unico e sicuramente criticabile.
La fiaba è e può rappresentare, in tal senso, un potente strumento terapeutico. Il linguaggio del metaforico è un linguaggio simbolico: le fiabe, per questo motivo attirano l’attenzione del bambino e favoriscono in lui l’attivazione di processi di immedesimazione che, nel momento in cui ne sanificano i conflitti interiori aiutano a trovare soluzioni mentre calmano l’angoscia. Non dimentichiamo che la psicoanalisi nasce e poggia il suo intervento terapeutico sulla dimensione simbolico-verbale.
Molte, le funzioni psicologiche e psicoterapeutiche cui la fiaba assolve, tra cui l’appagamento di desideri nascosti, piuttosto che la possibilità di esorcizzare elementi negativi del reale. In ogni caso, rappresenta per il bambino una via privilegiata per entrare in contatto con le proprie funzioni psicologiche. Come afferma Bettelheim (1977) l’uso della fiaba è un “possibile strumento che, attraverso il simbolo, fa chiarezza nel caotico mondo intrapsichico infantile”. La fiaba parla nel linguaggio simbolico e in questo linguaggio esprime fenomeni psicologici interiori. «Le fiabe indirizzano il bambino verso la scoperta della sua identità e suggeriscono le esperienze necessarie per sviluppare il suo carattere. I personaggi e gli eventi delle fiabe personificano conflitti interiori e suggeriscono in maniera sottile come possono essere risolti».
Elemento di sviluppo della creatività, la fiaba diventa nel contempo strumento di comprensione del proprio mondo interiore e relazionale. Le storie parlano al bambino incoraggiando lo sviluppo del suo Io semplificando le situazioni, facendo cogliere gli elementi essenziali del problema.

Fonti:
- D. MARCELLI, Psicopatologia del bambino
- F. PALACIO ESPASA, Psicoterapia con i bambini
- P. FONAGY, M. TARGET, D. COTRELL, J. PHILLIPS, Z. KURTZ, Psicoterapia per il bambino e l'adolescente
- B. BETTELHEIM, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe

domenica 29 marzo 2015

FIABA, FAVOLA E MITO

La fiaba trova le sue radici nella tradizione popolare.
Dal punto di vista letterario essa è un tipo di narrativa al cui interno ritroviamo creature fantastiche, esseri soprannaturali e, in tal senso, si differenzia dalla favola nella quale, invece, i protagonisti sono generalmente animali antropomorfizzati e dalle cui avventure traiamo sempre un insegnamento morale, più o meno esplicito.

Impossibile, non fare un confronto fra mito e fiaba nel momento in cui entrambi rappresentano un conflitto interiore in forma simbolica e suggeriscono il modo in cui esso può essere risolto. Però, il mito, rappresenta il tema in forma grandiosa, laddove gli eroi sono esseri sovrumani ed è quindi difficile potervisi identificare, dal momento in cui noi umani saremo sempre inferiori ad essi. 

La fiaba, diversamente dal mito, non pone richieste, non fa sentire inferiori, anche il bambino può identificarsi con i personaggi: Cappuccetto Rosso è l’esempio classico di come posso superare l’angoscia di essere bambino in un mondo di grandi

Fonti: 
- Bettelheim, "Il mondo incantato"